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Il Bauhaus secondo Italo Rota

Dialogo con l’architetto e designer a cent’anni dalla fondazione della scuola di Walter Gropius

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Published: 2 lug 2019
Italo Rota, architetto e designer di fama internazionale, è da molti anni un collezionista di oggetti legati al Bauhaus: “Li colleziono perché da sempre sono attratto dall’altissima qualità di questi manufatti, e dalle storie che si portano dietro”. Sono storie legate a grandissimi nomi della grafica, dell’architettura e del design europei e mondiali; storie spesso raccontate, in questo 2019, per celebrare il centesimo anniversario dalla fondazione a Weimar della Staatliches Bauhaus diretta da Walter Gropius.
Il Bauhaus secondo Italo Rota

Lo storico edificio della scuola Bauhaus a Dessau (foto: Nate Robert)

Inevitabilmente, i racconti si concludono con la chiusura della scuola nel 1933, a seguito di pressioni da parte del regime nazista, e con la diaspora dell’ultimo direttore Ludwig Mies van der Rohe e dei maestri, molti dei quali, come lui, emigrarono negli Stati Uniti. Tuttavia, sottolinea Rota, l’ascesa al potere di Adolf Hitler non spezzò sul più bello l’epopea del Bauhaus. In quel momento, la vicenda si era esaurita e di fatto rappresentava un’esperienza conclusa: “Non aveva più alcuna attualità, non ci sono elementi per dire che avrebbe potuto avere un futuro”.

“Gli architetti avevano sostanzialmente mandato via gli artisti”, aggiunge. “Quando pensiamo al Bauhaus, infatti, pensiamo al Bauhaus di Gropius; tanto è vero che la mostra organizzata da Gropius e Herbert Bayer nel 1938 al MoMA si intitolava Bauhaus: 1919-1928. Inoltre, non dimentichiamo che molti dei maestri del Bauhaus lavorano organicamente con il regime nazista: lo stesso Bayer fu l’art director di Goebbels fino al 1938. Mies van der Rohe se ne andò dalla Germania nel 1936, dopo aver cercato di lavorare e aver lavorato anche nelle grandi mostre di propaganda, così come altri maestri del Bauhaus.”

Ma il Bauhaus non è solo materiale, pur importante, per i libri di storia: ha avuto influenze in momenti diversi del Novecento – Rota menziona gli architetti dell’ International Style, e più avanti gli artisti e i designer che negli anni Sessanta recuperarono le avanguardie prebelliche – e ancora nelle tendenze del mondo contemporaneo è possibile rintracciarne l’eredità.
“L’influenza sul mondo di oggi però non è più diretta”, spiega Rota, “ma piuttosto il ricordo di un modo di lavorare. È il Bauhaus inteso come incontro interdisciplinare e come teaching by learning, trovare le soluzioni attraverso il fare; detta oggi, sembra la definizione di un Talent Garden o di una startup innovativa”.
Il Bauhaus secondo Italo Rota

Walter Gropius nel 1919 (foto: Louis Held) e il tesserino da studentessa e poi maestra di Gunta Stölzl (fonte: Wikimedia)

Ma il Bauhaus non è solo materiale, pur importante, per i libri di storia: ha avuto influenze in momenti diversi del Novecento e ancora nelle tendenze del mondo contemporaneo è possibile rintracciarne l’eredità.
“Altro aspetto importante è che all’inizio gli studenti del Bauhaus erano per metà donne, un fattore che influenzò molto la comunità della scuola. Ecco, oggi si pensa solo ai maestri ma quella in realtà era una comunità molto unita, in cui molti studenti, conclusi i corsi, diventarono rapidamente insegnanti.” Quando aprì la scuola, le domande di iscrizione da parte di donne furono anche maggiori rispetto a quelle degli uomini; col tempo tuttavia le iscritte diminuirono, perché di fatto venivano escluse dalla maggior parte dei corsi e indirizzate verso le attività ritenute “femminili”, come tessitura e ceramica. Nondimeno, alcune di loro arrivarono giovanissime a dirigere i dipartimenti di cui avevano seguito i corsi, come le designer tessili Gunta Stölzl e Otti Berger, mentre altre seppero farsi un nome, come artiste o designer, in Europa e in America: per esempio Margarete Heymann, Marianne Brandt, Ilse Fehling, Benita Koch-Otte, Alma Siedhoff-Buscher e altre ancora.
Il Bauhaus secondo Italo Rota

Portatovaglioli disegnati da Marianne Brandt nel 1930-1932, oggi esposti nel Milwaukee Art Museum (foto: Sailko)

Da architetto, Italo Rota dice di non aver percepito in alcun modo l’eredità del Bauhaus come determinante sul proprio lavoro. D’altra parte, ha ricoperto più volte incarichi da docente universitario, in Francia e in Italia, ed è direttore del dipartimento di Design della Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) di Milano; in queste esperienze, racconta, “ho sempre portato avanti l’idea fondamentale che c’era nel Bauhaus, cioè l’accorciamento della distanza tra docente e studente, che si siedono insieme intorno a un tavolo davanti a un tema da svolgere”.

Alla base non c’è tanto un afflato egalitario, quanto una vera e propria necessità connaturata al genere di problemi con i quali bisogna confrontarsi nel mondo di oggi, che colgono di sorpresa e non permettono la maturazione di carriere da specialisti o tecniche didattiche mirate: “L’esperienza si accorcia sempre di più, e ci troviamo tutti insieme davanti a un tema nuovo”.

Nei metodi d’insegnamento e nelle tendenze stilistiche di cui si fece promotrice, la scuola Bauhaus fu una risposta alle esigenze della nascente società di massa. Non tutte le soluzioni che elaborò e che in seguito si diffusero, tuttavia, possono essere celebrate senza una valutazione critica. Rota pensa in particolare all’edilizia popolare, alla progettazione di quartieri, edifici, appartamenti, mobili e cucine destinati alla vita moderna: “La casa popolare nasce con ottime intenzioni ma si trasforma nell’inferno dell’urbanistica del dopoguerra, che genererà parte dei problemi delle città di oggi”.

Cos’è andato storto? “Non ci sono colpe, è una forma della modernità che ha fallito in piena buona fede. Il Bauhaus si fondava su un’idea di collettivizzazione delle idee ma da allora, soprattutto dagli anni Settanta, le persone sono cambiate: sono finiti i regimi, le ideologie, e gli individui hanno acquisito sempre più peso rispetto alla società.”
Il Bauhaus secondo Italo Rota

L’esterno della Biblioteca comunale “Sandro Penna” a Perugia, progettata da Italo Rota (foto: Clodcardinali)

Nonostante gli insuccessi, il mestiere di chi fa progettazione resta quello di guardare al futuro, per accomodarne e in parte indirizzarne gli sviluppi. Trascesi i limiti del prodotto, il design è ormai una filosofia di approccio ai problemi della contemporaneità, e le scuole di design devono affrontare sfide nuove: “Le cose sono molto diverse da una scuola all’altra”, dice Rota. “Per esempio, oggi troverei molto più stimolante il design dei servizi rispetto alla pur legittima attività di disegnare tavoli e sedie, che ormai è diventata un fatto al limite del poetico. Ma ci sono mille e mille cose che il mondo aspetta da noi e che vanno insegnate: l’interaction design, il design dei servizi, la mobilità, l’energia, gestire la mutazione delle megalopoli attraverso il loro efficientamento; la relazione con gli altri viventi sulla Terra, che non è il green o l’ecologia, è il superamento di queste cose davanti allo stato di emergenza della nostra esistenza sul pianeta”.

Progettare il futuro non significa prevedere il futuro, ma la domanda a questo punto è d’obbligo: Italo Rota, secondo lei ce la caveremo? “Ma sì. E male che vada, se ci comportiamo bene, lasceremo un buon ricordo alla specie che ci succederà”.