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La luce del futuro è già qui

L’eredità di Blade Runner a quarant’anni dalla sua uscita

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Published: 25 giu 2022
“Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”. Questa frase, pronunciata dal replicante Roy Batty, interpretato da Rutger Hauer, non è solamente rimasta nella storia del cinema, ma nell’immaginario comune. “Ho visto cose…” è diventato un incipit idiomatico, usato ancora oggi in meme e chiacchiere da bar.
Ma questo non è l’unico elemento iconico del film del 1982 di Ridley Scott, Blade Runner, di cui ricorrono i trent’anni dall’uscita nelle sale americane. L’immaginario futuristico, i toni dark della fotografia, la cupa atmosfera urbana neo-noir, i neon e la pioggia, hanno creato uno standard fantascientifico che ancora oggi influenza cinema e gaming. Film come Terminator, Brazil, Il quinto elemento, la trilogia di Matrix e Inception o videogiochi come Snatcher e Cyberpunk 2077 devono tutti qualcosa a Blade Runner, e questo anche grazie al lavoro del direttore della fotografia Jordan Cronenweth, che vinse un premio BAFTA per il suo lavoro rivoluzionario e innovativo.
Cronenweth, con la sua fotografia, ha fatto scuola, creando su pellicola un immaginario diventato fondativo per l’estetica cyberpunk, il genere distopico dove l’hi-tech incontra il collasso della società, nato dai libri di Philip K. Dick. Lo scrittore William Gibson, creatore del termine cyber-space, autore di diversi libri di fantascienza, dopo aver visto il film dichiarò: “È ancora meglio delle immagini che ho in testa”.
La luce del futuro è già qui
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Molti colleghi di Cronenweth hanno anche spesso usato la parola “elegante” per descrivere il suo lavoro con la luce, tanto che il critico del Los Angeles Times lo ha paragonato a certi quadri di Vermeer: i raggi colpiscono i volti o gli oggetti, rendendoli protagonisti in uno scenario da noir, tra le ombre di una Los Angeles avveniristica che sembra un grosso nightclub all’aperto, con veicoli volanti e androidi assassini. Il legame con il genere noir è sottolineato proprio dalle scelte che riguardano la luce: una forte retroilluminazione, i contrasti decisi, i tagli di luci e ombre sulle pareti degli ambienti, l’uso frequente di silhouette, sono tutte caratteristiche tipiche dei noir della Hollywood degli anni ’40 e ’50 e, soprattutto, di Quarto potere di Orson Welles (amatissimo da Ridley Scott, tanto da fargli desiderare che Blade Runner somigliasse visivamente a Quarto potere).
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Il successo del film, diventato in breve tempo un classico e un cult, è stato tale che nel 2017 è uscito nelle sale il sequel, Blade Runner 2049, diretto da Denis Villeneuve, che ha visto il ritorno di Harrison Ford nel ruolo di Dick Reckard, affiancato da Ryan Gosling. Anche qui la fotografia del film, a opera dell’inglese Roger Deakins, è stata celebrata, tanto da vincere un Oscar, e un BAFTA per la miglior fotografia.

Il sequel omaggia in diverse scene il lavoro di Cronenweth, ricreando con silhouette e neon la Los Angeles fantascientifica, tra ologrammi, luci e ombre, ma aggiungendo delle novità tenendo conto del grande tema della nostra epoca: la catastrofe climatica. Il global warming e la terra che cambia per via delle azioni umane sono argomenti che Hollywood ha iniziato a trattare ben prima che diventassero mainstream, e che qui vengono rappresentati attraverso atmosfere desertiche e l’uso massiccio dei toni e delle luci arancioni. In Blade Runner 2049 l’unico albero presente nel film è morto da diversi decenni.
A distanza di trent’anni, Blade Runner continua ad avere un posto chiave nell’immaginario fantascientifico e non, anche grazie alla sua fotografia e al lavoro sulla luce, in questo mondo che non riesce a liberarsi di una visione oscura di un futuro che è quasi diventato presente.